Da qualche tempo, una nuova tassa pesa sulle spedizioni dall’estero verso il nostro Paese, cambiando il modo in cui vengono gestite quelle di piccolo valore provenienti da fuori UE. Nella recente Legge di Bilancio 2026, è stata inserita – un po’ all’ultima – una tariffa fissa di 2 euro per ogni pacco il cui valore dichiarato non supera i 150 euro. La soglia in questione riguarda molta della merce acquistata online da fornitori terzi. L’intento è, certo, coprire i costi amministrativi doganali, ma la reazione è stata immediata: un dibattito acceso, con dubbi sulle norme europee. Nel settore segnalano come la procedura si sia complicata: per chi compra, il rischio è quello di trovarsi davanti a spese extra non contemplate prima.
Senza troppi preavvisi, la norma è spuntata quasi all’ultimo passo del percorso parlamentare, senza che ci fosse spazio per una vera consultazione. Chi lavora nel campo delle spedizioni internazionali sa quanto possano essere intricate le pratiche doganali, che variano a seconda del paese di provenienza e del valore del prodotto. Con questa imposta si vede un ritorno dello Stato – diciamo così – a far pesare maggiormente le spese di gestione, ma anche un quesito sulla trasparenza e sulla giustizia nell’applicazione dei dazi.
Il contributo fisso per le spedizioni di valore contenuto
La novità cardine della legge è proprio quel contributo di 2 euro da pagare per ogni spedizione con valore dichiarato fino a 150 euro proveniente da Paesi esterni all’UE. Va detto che si somma ai già esistenti dazi o altre tasse, e ha come scopo quello di coprire le spese amministrative sostenute dall’Agenzia delle dogane e dei monopoli durante lo sdoganamento. In pratica, un costo aggiuntivo fisso, che si applica al momento dell’importazione definitiva e che – inevitabilmente – qualcuno dovrà pagare: acquirenti o venditori, insomma.

Questa fascia di valore riguarda un pezzo in crescita del commercio elettronico. Il motivo: tanti prodotti acquistati online da italiani rientrano facilmente sotto quella soglia. Si tratta quasi sempre di beni a basso prezzo, per cui le spedizioni da paesi extra UE sono assai comuni, grazie a prezzi spesso più bassi e a una maggiore varietà di prodotti. La linea dei 150 euro segna insomma un confine netto tra gli acquisti “piccoli” e le merci più costose, che sono escluse da questa tassa fissa.
Ma quanto inciderà questa tassa sul prezzo finale? Più spese, più attesa e poi quel contributo. Può frenare chi compra, specie chi già valuta bene i costi totali. Chi sta sul pezzo parla di un impatto sulla competitività delle piattaforme internazionali: qualche cliente potrebbe dirottare altrove o rinunciare a importazioni da Paesi terzi.
Le perplessità sulla compatibilità europea e le ripercussioni
La nuova tassa ha scatenato qualche protesta, specie da parte delle associazioni per i consumatori, che sottolineano presunte incongruenze con le regole UE. Il nodo sta nel principio di uniformità delle norme fiscali e doganali, sancito dall’Unione Europea. Cosa succede se un Paese mette tasse solo su certi tipi di spedizioni, senza applicarle uniformemente? Potrebbe creare discriminazioni o mettere ostacoli al commercio, ed è proprio quello che viene contestato.
Un riferimento chiave è l’articolo 3 del Trattato sul Funzionamento dell’UE, che proibisce restrizioni ingiustificate o arbitrarie nel commercio con paesi terzi. Se questa norma venisse “interpretata” alla lettera, l’Italia dovrebbe – diciamo – rivedere la sua posizione, magari estendendo il tributo anche alle spedizioni intra UE. Se non accadesse, le autorità italiane rischiano segnalazioni ufficiali dagli organismi comunitari.
Nel frattempo, tutti aspettano il testo definitivo della legge, che dovrebbe chiarire come saranno attuati i dettagli. Gli operatori doganali tengono d’occhio con attenzione gli sviluppi, sapendo che questa mossa dello Stato è una risposta ai costi crescenti del sistema di sdoganamento, ma anche un possibile grattacapo nel panorama commerciale globale. Già si notano ritardi nelle consegne e aumenti di spese: un segnale che l’esperienza d’acquisto e la voglia di rivolgersi all’estero stanno cambiando, dalle parti di Milano come altrove.
